La mia serata al Jumpin' Jazz
Sono andata negli anni in molti locali da ballo, dancing, balere, ballroom, club, e via così, e spesso arrivo da sola. Ho una certa esperienza, direi.
Non è mai "scontato" arrivare nei posti da sola; è vero che lo swing è un modo di sentire "moderno", che ci sono le "flappers", emancipate e così via, ma per chi arriva solo, soprattutto se femmina, è comunque sempre un match.
Se vai nei posti affollati, ti ritrovi a gironzolare cercando visi noti e salutando qua e là; si perde tempo con il drink in mano e si aspetta che l'atmosfera "salga"... quasi sempre è così, l'atmosfera sale.
Soprattutto se invece del superfansswingretromaniacale, incontri qualcuno che ti chede di accomodarti al suo tavolo, gradino, posticino, in quel caso l'atmosfera è già salita, perché i "modi" si sa avanzano sempre il "ballo".
Sabato scorso quindi sono arrivata, appunto da sola, al Jumpin' Jazz di Viale Monza. Ultimamente ci vado spesso, e con il fatto che sto raccogliendo testimonianze per un mio scritto sulla storia del ballo, sono diventata abbastanza "di casa". Questo sabato sono entrata sola, ma aspettavo la mia classe del "martedi". Classe veramente ricca di persone particolarmente intelligenti e singolari.
Rispetto allo standard, il Jumpin è un po' più caro. Costa dodici euro, più il costo molto moderato di una consumazione. Considerando che devo tornare in taxi, i soldi devono essere spesi bene. (Ci sono poche cose che mi spaventano, una è guidare).
Vi presento il locale. Spero di non sbagliarmi, perché le persone con cui ho parlato sono tutte molto cortesi e galanti, ma un po' sbrigative, come se fosse difficile per loro cedere ai ricordi, e invece io sono golosa della storia vecchia.
Il locale è antico. Una volta era costituito anche dalla parte sotto, dove adesso c'è il Ragù. Era frequentato dalla gioventù degli anni cinquanta, quella del cewing gum, dove se portavi gli occhiali eri considerato "handicappato" (sottovoce), e "l'unica era imparare a ballare bene così trovavi la morosa" (Carlo).
Il Jumpin è una associazione creata da un gruppo di amici, trent'anni fa; il presidente è il batterista (e amico) Valter Ganda. L'idea di partenza era riprendere a ballare ascoltando vera musica swing dal vivo, di fatto tutta la musica che si suona (bene) e che si può ballare partendo dal blues fino ad arrivare ai Beatles.
E qui sta il punto: al Jumpin' si balla. Non uno stile, si balla swing e basta. Chiamatelo be-bop, boogie woogie, lindy hop, soft o grounded, con o senza calcio, vi assicuro che lì lo swing è vivo e vegeto.
Certo si balla su ricordi di gioventù, si balla come permettono le giunture, si balla perché si ha orecchio ma, a dispetto del triplo o meno step, la postura è ineccepibile ed è difficile che prenda dei calci (gli unici appunto li ho presi dai miei allievi, ehehe...). I più bravi al Jumpin' hanno imparato da soli, ai tempi del dopoguerra, guardando i film, guardando i militari, guardando i "negri".
Un gruppetto di miei allievi ha voluto vedere questo posto perché ne ho parlato a lezione. Così particolare. L'ingresso non si può dire accogliente, gli abituè pure un po' diffidenti, Valter se sei davanti e parli un po' troppo forte ti fa ssshh col dito...Però al bancone trovi Silvia (Silvia Colombo che fa i Wunder Market e le ore piccole al Jumping come cameriera) e ancora ha il cuore per postare delle foto strastrepitose della serata, e tutt'intorno ci sono persone che ballano e ancora ballano e ballano ancora, da anni, con passione e determinazione.
Direte che mi ci trovo bene perché sono di una generazione che se ne sta andando, per nostalgia. Probabile, anche. Ma non solo. Sarò un po' snob, ma il Jumpin' è fuori dai soliti giri. Non è di moda. Si paga dodici euro, ma non ci si schiaccia come in un treno marci in corsa direzione Mirabilandia e Co.
I ragazzi che sono venuti hanno ballato, hanno sofferto, certo, per accontentare le dame, ma hanno proprio ballato, perché lì non ci si pavoneggia, si balla e basta, andando a orecchio.
E il mio amico Franco, che è un po' matto e continua a scandalizzare i suoi coetanei con le sue movenze da "blues man", era molto felice. Bella cosa.
Forte. Per me, soldi spesi bene.
Se vai nei posti affollati, ti ritrovi a gironzolare cercando visi noti e salutando qua e là; si perde tempo con il drink in mano e si aspetta che l'atmosfera "salga"... quasi sempre è così, l'atmosfera sale.
Soprattutto se invece del superfansswingretromaniacale, incontri qualcuno che ti chede di accomodarti al suo tavolo, gradino, posticino, in quel caso l'atmosfera è già salita, perché i "modi" si sa avanzano sempre il "ballo".
Sabato scorso quindi sono arrivata, appunto da sola, al Jumpin' Jazz di Viale Monza. Ultimamente ci vado spesso, e con il fatto che sto raccogliendo testimonianze per un mio scritto sulla storia del ballo, sono diventata abbastanza "di casa". Questo sabato sono entrata sola, ma aspettavo la mia classe del "martedi". Classe veramente ricca di persone particolarmente intelligenti e singolari.
Rispetto allo standard, il Jumpin è un po' più caro. Costa dodici euro, più il costo molto moderato di una consumazione. Considerando che devo tornare in taxi, i soldi devono essere spesi bene. (Ci sono poche cose che mi spaventano, una è guidare).
Vi presento il locale. Spero di non sbagliarmi, perché le persone con cui ho parlato sono tutte molto cortesi e galanti, ma un po' sbrigative, come se fosse difficile per loro cedere ai ricordi, e invece io sono golosa della storia vecchia.
Il locale è antico. Una volta era costituito anche dalla parte sotto, dove adesso c'è il Ragù. Era frequentato dalla gioventù degli anni cinquanta, quella del cewing gum, dove se portavi gli occhiali eri considerato "handicappato" (sottovoce), e "l'unica era imparare a ballare bene così trovavi la morosa" (Carlo).
Sala da ballo dopo la ristrutturazione del 2013 |
Sala da ballo dopo il 1956 (divisa dopo il 1996) |
Certo si balla su ricordi di gioventù, si balla come permettono le giunture, si balla perché si ha orecchio ma, a dispetto del triplo o meno step, la postura è ineccepibile ed è difficile che prenda dei calci (gli unici appunto li ho presi dai miei allievi, ehehe...). I più bravi al Jumpin' hanno imparato da soli, ai tempi del dopoguerra, guardando i film, guardando i militari, guardando i "negri".
Un gruppetto di miei allievi ha voluto vedere questo posto perché ne ho parlato a lezione. Così particolare. L'ingresso non si può dire accogliente, gli abituè pure un po' diffidenti, Valter se sei davanti e parli un po' troppo forte ti fa ssshh col dito...Però al bancone trovi Silvia (Silvia Colombo che fa i Wunder Market e le ore piccole al Jumping come cameriera) e ancora ha il cuore per postare delle foto strastrepitose della serata, e tutt'intorno ci sono persone che ballano e ancora ballano e ballano ancora, da anni, con passione e determinazione.
Direte che mi ci trovo bene perché sono di una generazione che se ne sta andando, per nostalgia. Probabile, anche. Ma non solo. Sarò un po' snob, ma il Jumpin' è fuori dai soliti giri. Non è di moda. Si paga dodici euro, ma non ci si schiaccia come in un treno marci in corsa direzione Mirabilandia e Co.
I ragazzi che sono venuti hanno ballato, hanno sofferto, certo, per accontentare le dame, ma hanno proprio ballato, perché lì non ci si pavoneggia, si balla e basta, andando a orecchio.
E il mio amico Franco, che è un po' matto e continua a scandalizzare i suoi coetanei con le sue movenze da "blues man", era molto felice. Bella cosa.
Forte. Per me, soldi spesi bene.
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