2. Milano di una volta: come e dove si ballava il boogie woogie

 Parlo della fine degli anni Novanta, a Milano, quando il ballo era poca cosa. Il ballo in generale era poca cosa ma a maggior ragione il ballo di coppia, quello dove ci si prende per mano, si invita e si sta abbracciati e proprio quel genere di ballo, che era stato tanto in voga nell'altro secolo,  si era come progressivamente rimpicciolito passando dai locali di prima della guerra, con le orchestre e le belle piste da ballo lucide, ai  piccoli caveaux tipo il Santa Tecla post fascisti, dove ci si dimenava fumando e ascoltando il jazz, e poi praticamente più nulla.

Immagine di repertorio. Credit: https://stockcake.com/

Anche questi piccoli templi della musica sperimentale sparirono, anche se io ricordo bene l'ultimo sopravvissuto, l'Ittolittos di via Olgiati 25,  e al loro posto subentrarono i juke box e le disco degli anni settanta e poi quelle più fashion degli anni 2000. Ma del ballo di coppia e della musica dal vivo non se ne parlò proprio più.

Ittolittos, via Olgiati 25 Milano con la  Ticinum Jazz Band

Era stato il rock and roll a fare piazza pulita, che unito alla televisione fece sparire il ballo vecchio stile, introducendo prima il rockabilly, un ballo da giovaniche ammorbidito divenne il twist, un ballo per tutti e la coppia in generale divenne un fenomeno politicizzato e il ballo relativo venne messo decisamente alla porta.


Twist, Anni Sessanta, Immagine di repertorio

Ma c'erano, anche in una metropoli grande e spersonalizzata come Milano, alcuni posti dove il ballo di coppia resisteva. E non parlo degli eventi "rossi", quelli legati alle mitiche Feste dell'Unità, con le piste traballanti in legno e le orchestrine e neanche dei ritrovi domenicali per anziani, quelli dal pavimento di graniglia e le sedie intorno alla stanza, no, parlo di locali poco conosciuti, ma ben presenti per una élite gelosa della propria cultura, orgogliosa del talento nel ballare. Un ballo che trovava le sue radici nella gioventù e nella fine della misera, un ballo radicato, che si era fatto spesso, perdendo un po' della sua natura libera e individuale per rivestirsi di protocolli di gruppo e di coppia, ma comunque un gran bel ballo.

Dancing Apollo, 1964, Fondo Carla Cerati, Regione Lombardia

Io li ignoravo completamente, sia i locali, sia i balli che i relativi protocolli. Sapevo che in provincia si ballava ancora, ma lo consideravo una espressione legata a uno stile di vita sorpassato dalle metropoli. Mantenevo bellissimi ricordi legati alle discoteche, sia quelle della domenica pomeriggio dei miei quindici anni che quelle rubate a una vacanza quando avevo la prole attaccata ai lembi delle gonne.  Ma non pensavo potessero tornare quei momenti, così spensierati.
Quindi fu per me una bella sorpresa quando a metà corso di boogie woogie il maestro ci proposte di andare in sala da ballo, tutti insieme. Quindi si trattava di ballare il boogie, in una pista, tra la gente, dare sfoggio, bello, bellissimo, ma come fosse e soprattutto come vestirsi per me era un mistero. Cercai di informarmi ma non esistevano link sul web, foto dalle quale carpire qualche informazione, non si sapeva nulla, non trapelava niente. 

Hangover, Milano

C'era solo qualche negozio che esponeva abiti in stile rockabilly, esagerati in taffettà, grossi pois e spacchi, e così al mio debutto a Milano optai per una gonna a ruota nera che avevo nell'armadio abbinata a una maglietta da marinaio con un grande colletto quadrato comprato in uno di quei negozi esagerati; misi  una grande rosa di carta sopra l'orecchio e come tocco di eleganza, così mi pareva (!), indossai delle scarpe nere col centurino e il tacco, poco adatte per ballare ma sicuramente più d'effetto per l'entrata in sala, tenendo le scarpine con la suola di gomma in una sacchetta nera. Trovai un passaggio e entrai di fianco al maestro, con grande trepidazione e aspettative.  Uscire di nuovo la sera, a ballare, incredibile. Bellissimo.


L'esperienza fu particolare e me la ricordo bene. Ebbi subito la percezione che non si trattava di un ritrovo di puro benessere, dove ridi bevi e ti diverti, ma che in quell'occasione entravano in gioco diversi fattori che rendevano l'evento se non  impegnativo almeno elettrizzante. 

Dancing fine anni Novanta

Il locale, il primo così come tutti gli altri che frequentammo insieme con la scuola, lo definirei più club che dancing, e questo perché già all'ingresso, in piedi, con l'aria distratta e un po' fumosa, c'era sempre un veterano, a volte anche una veterana, proprietari o comunque tenutari del locale, che ti squadravano e decidevano chi eri e quanto contavi. 

Andiamo con ordine. Il prezzo di ingresso non era uguale per tutti, dipendeva dall'importanza della scuola, perché a ballare non si andava da soli, e mai e poi mai da sole, ma rigorosamente accompagnati dal maestro. Il maestro prenotava in anticipo e al telefono stabiliva le provvigioni di ingresso, ovvero quanto gli tornava per allievo, il gettone si chiamava, e se gli allievi erano pochi era doveroso che a lui e alla sua partner fosse comunque offerto ingresso, drink e posto a sedere. 

Con il maestro Franco Galli, 2011

Se ciò non accadeva, ovvero se accadeva che facessero pagare il biglietto al maestro, questo era considerato uno sgarbo, una voluta offesa e un attacco al prestigio come insegnante. I maestri andavano per ordine di anzianità e di importanza. Non per forza di bravura o di numero di allievi. I più importanti erano i più antichi, a volte non li vedevi neanche ballare ma solo girellare con il bicchiere in mano, la camicia appena stropicciata sulla pancia che scrutavano le file con aria truce.

Sala Venezia, via Cadamosto, Milano

Passato il momento del test dell'accoglienza in ingresso,   passavi attraverso una porta magica in genere una tenda dal tessuto pesante o una porta legnosa che rimaneva sempre socchiusa  e ti ritrovavi dentro il locale. Bellissimo! 

Il locale da ballo tipico aveva  con una pista centrale rotonda dal pavimento lucido e senza fughe e intorno tavolini e poltroncine, seggioline e sottobicchieri coi pizzetti, tovaglie tutte uguali in tessuto rosso cupo o blu cobalto con l'orlo a frangia, luci al soffitto psicodeliche o vecchio stile a goccia e sulle pareti applique soffuse. 

Ogni gruppo aveva il suo tavolo, con il cartellino del maestro che ti aspettava. Finiti i posti a sedere chiudevano gli ingressi. Non esisteva che le signore arrivassero non accompagnate a meno che non fossero del gruppo del maestro. Il maestro aveva il dovere di arrivare un po' in anticipo, per evitare situazioni imbarazzanti per le signore, e così faceva sempre il mio, che correva dal posteggio verso l'ingresso e avrebbe anche pagato anche il doppio pur di accelerare l'ingresso e entrare in pista per primo ed accogliere i suoi allievi, cosa che ora proprio non usa più...

Da un lato, bello grande, c'era il bancone del bar, di legno o di formica, le ciotoline con le patatine, un cameriere dietro ben vestito, e tutte le bottiglie allineate per bene, C'erano gli sgabelli alti, e c'era la fina alla cassa per il secondo drink, il primo era compreso nel biglietto di ingresso, un bigliettino di carta sottile che diventava subito molliccio per l'umidità del locale. E poi c'era la musica, dal vivo, tre quattro elementi o registrata, con un fono-mescitore (sarebbe il dj) che, chiaramente i ballerini conoscevano già e a cui fama attirava la clientela.

 
Ballerini Anni Sessanta (?), scatti in Sala Venezia, 2017.Credit Antonio Di Canito

C'erano solo un paio di locali, mi pare di ricordare l'Apollo il martedì oltre alla Balera dell'Ortica, il giovedì, dove la serata era dedicata esclusivamente alla musica boogie-woogie e rock and roll. Gli altri locali, come la Sala Venezia, Milano In, l'Arizona proponevano serate miste, dove si alternavano pezzi di polka, fox e mazurka a intermezzi di boogie-woogie.  Chiaramente i locali dedicati esclusivamente al boogie-woogie erano i più impegnativi. Lì la lotta tra le bande delle scuole era più dura, perché era come appartenere a una gang, che mai mai avresti tradito per andare nell'altra.

Erano serate molto importanti per i maestri che avevano la responsabilità del gruppo. Innanzitutto dovevano riuscire a conquistare abbastanza spazio ai lati della pista per far ballare il proprio gruppo in fila, perché il boogie da sala che si chiama anche boogie in linea si balla appunto con le coppie bel allineate in un'unica fila. Una volta iniziato a ballare tutto il gruppo deve seguire le chiamate del maestro, che guida il ballo alzando il braccio sinistro e facendo segni con le dita. 

Le coppie, o meglio il cavaliere, allungava il collo per cogliere per tempo il comando, e come se gli si aprisse il cuore a ogni nuova figura che riconosceva, prendeva con lo scorrere della musica, sempre più baldanza. Se invece capitava che si impappinasse, doveva uscire dalla pista per non confondere tutta la fila, portando con se la sua dama che a volte si scusava confusa e altre volte piccava il cavaliere seccata.

Col maestro Marco Martinelli, 2009

 Dopo la prima  decina di figure che proponevano tutti i maestri, iniziava la sfida a colpi di novità. Era lo show.

 C'erano maestri che ostentavano non solo figure molto complesse, dimostrando così di avere una scuola con un passato, ma un numero di combinazioni impressionanti, tra l'altro tutte da memorizzare. Le coppie meno esperte capivano che era arrivato il momento show e uscivano dal gioco, mentre chi rimaneva in pista era preso da una vera frenesia. Il nostro maestro ci dava dentro a più non posso, e oltre al braccio che si agitava in aria,  urlava le figure alla truppa, con le tempie imperlate di goccioline di sudore, la camicia bagnata  (in genere ne aveva sempre un paio di ricambio), la bocca tirata dallo sforzo, ma sempre all'erta a curare con la coda dell'occhio l'effetto prodotto sugli altri gruppi, che a loro volta facevano la stessa cosa fingendo di ignorarsi a vicenda. 

Inoltre c'era il lavoro dei piedi. Che dire, il lavori dei piedi, attenzione, niente fianchi o braccia o mani come usa adesso, ma solo i piedi, era fondamentale, e ogni maestro padroneggiava un proprio stile originale. Calcetti, tocchi di tacco, controtempi, i piedi si muovevano velocissimi scivolando e saltando. Spesso anche le coppie più esperte avevano messo a punto un loro stile di piedi, certe signore erano incredibilmente abili a muoversi con un intreccio di sgambetti che io fissavo senza farmi vedere per un tempo infinito cercando di carpirne il segreto.

Esibizione di boogie in linea

Poi la canzone finiva e noi increduli smettevamo di ballare, io guardavo in basso e uscivo svelta dalla pista, talmente satura di adrenalina  da averne vergogna. I cavalieri dimenticavano le buone maniere e allontanavano le dame bruscamente raggruppandosi vicino al maestro, lui, ansimando si guardava attorno soddisfatto, si tirava su i calzoni che nel frattempo si erano appiccicati al cavallo e poi recuperato il biglietto molliccio, frugando tra borse e vestiti sulle sedie, ci si appropinquava al bancone del bar. Si beveva, il maestro più in fretta perché doveva tornare al tavolo per far ballare le signore, e noi un po' imbambolati guardandoci attorno, con le gambe prese da un tremito che tirava alla pista. A volte capitava che qualcuno, i frequentatori più anziani in giacca e cravatta o le belle signore, ben truccate e ben vestite, venissero a farmi i complimenti ed io mi sentivo proprio su di giri, direi proprio felice.  

Di fatto mi ero unita a una gang di sopravvissuti, o forse meglio dire di pionieri considerando cosa è successo poi al fenomeno dello "swing"... ma questa è un'altra storia.

Si parlava tra noi o si creavano nuovi amori? Questo ve lo racconto nella prossima puntata!


Bibliografia

Le danze swing, di P. Bruno, Ed. Gremese, 2018.

Video: Scuola Boogiemania dei maestri Nadia e Flavio, Bovolone, Verona



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