3. E adesso arriva il charleston

E’ incredibile come ti cambia la vita una passione, soprattutto una passione che ti fa uscire di casa. Non intendo dire che ci siano passioni più o meno valide, sono tutte valide, le passioni, e chi ne soffre è fortunatə, a prescindere, ma se ne hai una lontana dalla routine domestica, allora sei ancora più fortunatə. 

Immagine di repertorio


A volte queste passioni arrivano talmente nel profondo da darti l’illusione di essere la cosa più vera della tua vita e che tutto il resto sia solo uno strumento per arrivare a quel momento, il momento in cui te ne esci di casa e ti senti lə vera te stessə. Questo discorso non vale per me e quellə come me, no certo, noi ragazzə razionali e poco indulgenti, cresciutə in un’ottica tra il cattolico e il calvinista, bloccatə tra figli, produzione e organizzazione, ma per molti altri, molte altre persone sì, persone che sognano, falsificano e ci credono, forse anche troppo, alle loro passioni risvegliate in brevi pause di vita. 


Balera dell'Ortica, 2020, Crediti: P. Bruno


Una ragazza, che poi era una mia allieva, me lo disse chiaramente a fine giornata, dopo gli allenamenti in piazza Berlinguer, tra merende, musiche e guance arrossate, che la sua vita vera era lì, in quel momento, e che tutto il suo correre frenetico era solo una pausa tra un tempo e l’altro della sua vera passione, che poi era il ballo. Io invece, che avevo passato gran parte della mia di vita entro un raggio che andava dall’ufficio, all’asilo e alla casa, pensavo che fosse quella la dimensione giusta, giusta per dare il meglio di me stessa e insieme probabilmente per avere anche tutto a portata di mano. Questo aspetto di me, la necessità di mantenere un ordine, una produzione reale, visibile, concreta, non appare a chi mi incontra al primo acchito; apparentemente risulto distratta e bizzarra, ma di fatto ho sempre tenuto la mia creatività ben controllata dalla mia parte razionale, inquadrandola e definendola progettualmente.

Festa in Epoca - 2019 - ASD Nonsolocharleston, Milano


 Non che abbia mai condotto una vita monotona, no, serpeggia sempre in me la necessità di creare qualcosa di nuovo e questa pulsione defluisce in varie forme, che siano dei grandi murales notturni, che i miei figli scoprivano estasiati al risveglio come fossero fioriti di notte, o le scommesse con la natura per decorare con piante e fiori gli angoli più scalcinati. 
 Il mondo pullula di passioni, spesso rinchiuse nel tempo libero o rimandate in attesa di quel periodo fuori dal tempo chiamato età pensionabile, passioni che a volte fanno emergere la parte più serena di noi, la più pulita. Ricordo il mio vicino, del settimo piano, che incrociavo a volte mentre usciva dall’ascensore con la sua sacca del tennis, un uomo sereno vestito di bianco e azzurro, diverso dal padre e dal marito che girava per casa, impacciato nelle sue pantofole, mentre ora dall'ascensore appariva un bell'uomo brizzolato e leggero, che quasi non riconoscevo. E il vicino di box di mio fratello che, come lui, aveva una passione per le motociclette, e insieme stavano ore chiusi due piani sotto terra, tra quell’odore di pneumatici che hanno i box sotterranei, ad aggiustare e cambiare i carburatori, le ruote e i manubri, fino a creare dei deformi giocattoli, per poi trovarsi la domenica al parchetto a fare il moto cross, su e giù, con la sella che ribalzava sul telaio a ogni salto. E loro si sentono così  felici con gli stivali di cuoio, senza casco, mentre scendono dalla motocicletta un po' a gambe larghe come i cowboy sfoggiando medaglie di fango. E i ciclisti, li incroci spesso i ciclisti, ma non ci fai caso, ma se li osservi vedrai che che i ciclisti, spesso persone non più giovani, sono lucidi e liberi nelle loro tute colorate, equipaggiati e imbottiti, in gruppo spesso in pausa al bar che ridono e bevono e si scambiano mozziconi di frasi piene di vento. 

Quanto a me, ballare mi piaceva da sempre, anche se era uno sport o comunque un talento poco considerato a casa mia, cosa che immagino si ripeta in tante famiglie. C’era stata la passione della danza classica, della moderna, tutti corsi durati meno di un anno e infine abbandonati definitivamente in favore di altri. Un po’ di follie in discoteca da ragazzina e poi più nulla. 

Festa in Epoca - 2019 - ASD Nonsolocharleston, Milano, Social Dance


 Ma la social dance, cioè quel ballo che si balla fuori in mezzo agli altri, su una pista da ballo, è una cosa diversa. Non ha niente a che fare con la severa disciplina della danza, non è necessariamente un palcoscenico né una vetrina per l’altro. E’ una attività che si adatta a tutti, sia che tu sia da solə che accompagnatə, che tu sia giovane o grande; è una scelta che che ti tira fuori dagli schemi, anche di movimento, praticati di solito, che azzera le distanze, che ti butta in braccio alla gente, è una musica che ti spinge sulla pista, tra la folla, é il piacere di sentirti, almeno a un certo punto, proprio felice di essere al mondo. 
Non che la social dance e l’emozione che suscita sia una prerogativa del ballo swing. Io parlo dello swing perché è quello che conosco, lui e il suo galateo e le falle del suo galateo, ma probabilmente altri balli lo equivalgono. Insomma a me era capitato questo ballo, il boogie-woogie prima e lo swing in generale poi, e attraverso queste danze, almeno ogni tanto, vestita con i larghi calzoni con le bretelle e le magliette a righe, mi ritrovavo in pista, a scatenarmi senza ritegno al ritmo del charleston.

MITO Fringe, Milano, 2012


 E’ il momento di parlare di questo: il charleston. Dopo alcuni mesi, o forse addirittura anni a imparare il boogie da sala e aiutare il mio maestro a crescere come scuola, mi imbattei in un nuovo modo di ballare. Era diverso. Era più creativo, era più tecnico, era più elegante. Insomma, un altro ballo, sto parlando dello swing. Ma questo io non lo sapevo, lo considerai semplicemente un arricchimento del primo, del mio boogie woogie, con qualche passo e qualche giro di vita in più. Un boogie più vintage più elaborato, più spettacolare, ma pur sempre più o meno la stessa cosa. Così, nel giro di un momento per me calò il sipario sul boogie da sala e si aprì sullo swing, anche se cosa postare sul nuovo palcoscenico, non mi era ancora proprio chiaro. Sentivo però di dover entrare a tutti i costi in quel territorio, carpirne i segreti, farlo riemergere, tirarlo fuori e portarlo ai nostri allievi così che potessimo assaporarlo assieme. Non sapevo che c’era chi già aveva capito le potenzialità dello swing, maestri che lo studiavano e si arricchivano di swing all’estero da anni. Lo capii dopo. Per ora il mio mondo era piccolino, non andava oltre alla social di casa, alla palestrina nel seminterrato, al mio maestro boogiesta, che a sua volta aveva imparato dal suo vecchio maestro boogiesta e alle poche balere dove si ballava il boogie da sala assieme alla polka e al fox-trot. 

La Balera dell'Ortica - Crediti: P. Bruno


Affrontai la cosa di petto come del resto mi era solito fare e facendo conto solo sulle mie risorse, iniziai col cercare sul web, scrivendo a destra e a sinistra, passando dai video tutorial alle clip degli anni trenta, quelle tratte dai vecchi film o dai documentari che testimoniano il Rinascimento di Harlem di quegli anni, dove i ballerini per lo più afro-americani si esibivano su tremolanti pellicole bianco e nero. Erano clip incredibili. C’erano per lo più due generi di performance, quelle create per i film e quelle per il palcoscenico. In entrambi i casi non si trattava di ballo sociale, ma di sequenze costruite per incantare, con le nuove movenze che avevano qualcosa di primitivo e incontrollato e ben si addicevano a quel momento storico fatto di paure ed esultanza. Le performance, per esempio quelle di Josephin Baker, la “venere nera” o dei Whitey’s Lindy hoppers, scatenate e acrobatiche, incredibilmente difficili da emulare, e per il mio livello  decisamente impossibili. 

Freda Joséphine Baker (1906-1975)


Poi c’erano le clip di Arthur Murray che più o meno nella stessa epoca, bianco, dritto e ordinato, spiegava ai suoi studenti un passo, un movimento, una piccola ma impeccabile sequenza di Collegiate Shag. Che per chi non lo sapesse era uno dei balli che impazzava nei salotti degli anni Trenta e di cui A. Murray era il maggiore sostenitore e maestro. Sia il Charleston di Freda Joséphine Baker ma anche quello addolcito di Joan Crawford, tanto per citarne una, era diventato così di moda negli anni Trenta che perfino i giornali ne parlavano tanto da produrne, negli anni a venire, dei veri e propri documentari per testimoniare la storia e la diffusione di un ballo così prodigioso da diventare patrimonio della Rinascita nera.


   
Al minuto 48,29 inizia la più famosa scena di lindy hop del mondo. 

 
Mi sto perdendo. Tornando al mio percorso, il secondo genere di clip che mi tuffai a studiare furono i tutorial. Anche allora ce ne erano molti sul web, e di spunti per imparare ne trovavi, disordinati, brevi e imprecisi, quanti ne volevi così, non avendo un ballerino con cui praticare, perché il mio maestro non aveva fiducia nello swing e men che meno nei cambiamenti, le mie energie si convogliarono sul charleston, che potevo imparare da sola. 

A quei tempi, e parlo di circa il 2009, lavoravo di mattina come insegnante di italiano in un liceo così che di pomeriggio riuscivo a ritagliarmi dei momenti, prima che tornassero i miei figli, in cui davanti allo specchio nel corridoio di casa, studiavo e ristudiavo le mosse. Che mosse! Qualcosa imparavo effettivamente ma la maggior parte delle cose mi sfuggivano, non è che non riuscissi a ripeterle è che proprio neanche le percepivo. Come un bambino, che è arrivato a vedere la montagna solo dal suo punto di vista e non sa che qualcun altro le ha già viste dall’alto, le montagne, nella loro interezza. Ecco. Io vedevo solo alcune parti e quelle ripetevo. Vedevo il ritmo, vedevo i movimenti, vedevo la musica, con i suoi alti e bassi, ma la maggior parte del resto, (tutto non lo vedo neanche ora), non lo vedevo. C’è un mondo di tecnica dietro il ballo swing, e se ammiri i ballerini migliori, vedi solo il risultato finale, movenze fluide e sciolte, perfettamente in tutt’uno con il testo musicale, ma tutto il percorso che ci sta dietro quello, che rende il loro ballo quello spettacolo che è, quello non lo vedi e all’inizio proprio non lo capisci. 




 Comunque, baldanzosa della libertà ritrovata, perché una caratteristica del charleston è l’improvvisazione, e fiduciosa nella possibilità di ballare da sola, decisi che era venuto il momento di portare il charleston nel mondo. Ero ingenua. Il ballo di coppia ha un fascino diverso, guidare e seguire hanno il loro perché, sia per i ballerini che per le serate. Comunque, ignara e fiduciosa, iniziai a mettere su qualche breve sequenza di charleston e alla partenza dei nuovi corsi, sempre nella scuola del mio maestro, proposi un corso di charleston. Un vero, furioso e allegro e furibondo in corso di charleston




In quegli anni facevamo i corsi in un seminterrato in una traversa di via piuttosto centrale, sempre a Milano, la grande metropoli. Per arrivare alla sala serviva citofonare e seguire per le cantine, giungere alla porta di vetro pesante e infine scendere una rampa di scale. Ti ritrovavi in una grande sala con delle bandierine appesa al soffitto; oltre alla sala avevamo un bagno pulito con il suo antibagno e delle panche di legno per cambiare le scarpe. 
 I corsi di ballo tradizionalmente partono a metà settembre e la prima lezione, di prassi, è gratuita. Fino ad allora avevo aiutato il mio maestro nei corsi di boogie woogie da sala. Due ore, due livelli. Quello per me era il secondo anno e sia il maestro che io, sapevamo per esperienza che alle lezioni di prova non si sapeva in quanti sarebbero arrivati o addirittura se mai fosse arrivato qualcuno; avevamo, è vero, un sito, una cosa semplice fatta in casa, ma non c’erano form di prenotazione, rimandi a Facebook o Instagram, pubblicità a pagamento o simili. I corsi come il nostro riguardavano fino allora una nicchia di persone proprio piccola, spesso antichi amatori. 
Noi avevamo programmato alla prima ora la prova del corso base, che avremmo condotto il maestro ed io e a seguire il corso di charleston che avrei condotto da sola, mentre il maestro avrebbe continuato con gli allievi dell'anno precedente il boogie di secondo livello facendosi aiutare da una coppia di allievi esperti. 
Il fatto che qualcuno tenesse un corso diverso dal solito condotto non direttamente dal maestro, ma da me in quel caso, era già un grosso cambiamento alla solita routine. Ci arrivai probabilmente come dimostrazione di affetto più che di stima o comunque per non discutere su una cosa che probabilmente per il maestro non avrebbe avuto alcun seguito.




 Così la sera delle prove lui ed io aspettavamo, il maestro vicino al citofono, io ai piedi della scala, su cui, per l’occasione, avevo spruzzato del profumo con l'illusione di rendere meno seminterrato quel seminterrato. Dieci minuti prima dell’inizio, il citofono cominciò a squillare, il maestro cominciò a schiacciare il pulsante e io cominciai ad accogliere le persone ai piedi della scala, e così per un bel po’ di tempo, schiacciammo e accogliemmo, fino a che ci ritrovammo con la sala piena di gente. Oltre alle solite coppie un po’ più datate, arrivarono facce nuove, ragazzi di venti o trent’anni che annusavano, grandi precursori, il profumo dello swing, che già imperversava in Europa. I corsi di swing, quello che ora chiamiamo lindy hop, a Milano non c’erano, o meglio ce ne era uno solo, uno in tutta Milano. E non era ancora chiara a nessuno, non lo era neppure a me, la vera differenza tra un corso di boogie woogie e uno di lindy hop
 Così dopo la prima prova di boogie-woogie, che andò bene e fu un successo di iscritti, arrivò la seconda ora, l’ora del mio corso, che tra l’altro tenevo da sola per la prima volta, e ancora più incredibilmente di prima, le persone continuarono a citofonare, il maestro apriva, la porta in cima alle scale sbatteva e io accoglievo. Il charleston per me iniziò quella sera, sotto le bandierine. 



Tra tutte le persone che quell’anno iniziarono con me, sono passati quindici anni, ricordo due sorelle, una piccina con le movenze di una bambolina, e l’altra, che seppure non alta, vicino alla sorella sembrava grande e forte e ricordo due giovanotti, belli, riccioluti e ben vestiti, ai quali chiesi per ben due volte se fossero sicuri di essere lì per il mio corso e non per il boogie woogie. Ricordo una ragazza alta, magra, con i capelli dritti e la bella bocca dai denti bianchissimi, e due amiche una più robusta e solare e l’altra con dei grandi occhi blu. E soprattutto ricordo una ragazza magretta che quando ballava stendeva tutte le braccia come a staccarsi dalle spalle, con le dita delle mani aperte quasi annaspando nell’aria e che teneva la bocca un po’ aperta in un lungo stupore che durava tutta la canzone. 

 A fine serata, una volta rimasti soli, il maestro ed io, nella sala sotterranea, lui ancora preso dall’eccitazione delle sue ore e da tutto quell’andirivieni, ed io incredula del mio successo, eravamo finiti, pur senza saperlo, su due mondi diversi. Lui non aveva notato il cambiamento nell’utenza, non dette peso alla presenza di giovani, non aveva colto l'interesse per il charleston. Non mi chiese nulla, non disse nulla. Faceva i suoi conti, soddisfatto, distratto, dimenticandosi della mia presenza. Io stessa  del resto ero altrettanto distante, persa in un sogno di progetti futuri talmente certa della svolta che la serata aveva rappresentato che potendo, avrei voluto, da subito, stravolgere anche i suoi di corsi, facendoli diventare più simili, come stile, a quelle clip di cui mi ero riempita gli occhi. 

Il mio corso di charleston si era già trasformato dentro di me, diventando non solo un piccolo trionfo dell’intraprendenza ma un emblema di cambiamento. Da allora ci frequentammo meno, il mio maestro ed io, e le nostre strade piano piano si divisero. 
Ma questa è un’altra storia.


Per approfondire la storia del ballo swing e la scena milanese si rimanda a Le danze swing, di Paola Bruno, ed. Gremese, 2018





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